Categorie
Testimonianze

Lettera da un amico

Parole che liberano e raccontano, parole che aprono, dense di vita e di visione: lettera da un compagno di Modena, con qualche esperienza e qualche anno in più. Così bella, franca, viva, autentica, che abbiamo chiesto di condividerla. 

Cari compagni e care compagne,
 
grazie delle vostre parole gentili.
Ne voglio sottolineare alcune, che mi hanno colpito, dove dite:
“i nostri propositi assembleari“.
E qui devo stare attento, perchè le emozioni possono fuorviare. 
Sono infatti il sedimento più ancestrale che abbiamo.
Se è vero che senza non possiamo vivere, al tempo stesso, se non le “facciamo passare attraverso la neocorteccia cerebrale”,  la nostra umanità regredisce, si inselvatichisce, si “tribalizza” e in definitiva ci fa perdere di vista il fine della nostra lotta. Che è per una umanità dal comune destino, senza sfruttamento, senza sfruttamenti, nè economici nè – ecco il nostro modesto contributo – personali, sessuali, “di prossimità”.
 
Cari care,
 
l’assemblea è una invenzione fra le umane la più umana, e facciamo bene ad averne cura. 
Gli antichi sostenevano che la parola espressa nell’assemblea aveva la stessa forza, la stessa dignità della parola degli dei. 
Occhio, compagni. 
Degli dei, non di dio. 
La parola detta in assemblea ha un valore “deliberante”, che non ha nel colloquio a tu per tu, nel privato delle relazioni personali, troppo spesso “inquinato” da seduzioni, da complicità inespresse o addirittura inconfessabili. 
Così è nato il sessantotto [scusate che rivelo la mia antichità], con l’assemblea, e con il “rifiuto della delega”. 
Nessuno è,  nè deve essere, padrone della vita altrui, ma piuttosto sempre più padrone della propria. 
Nessuno deve delegare ad altri il proprio diritto a dirigere la propria vita.
Non il “governo sugli altri, bensì l’autogoverno su se stessi”.
Eravamo comunisti, ma su questo punto discutevamo anche aspramente col partito. 
Lo “stile” comunista era a volte impregnato di “governo delle masse” nel senso ambiguo di governo di una élite sul resto del popolo, noi rivendicavamo l’altro senso, di “governo” nelle quali le masse – operaie, contadine – fossero esse stesse governo di sè, cioè autogoverno.
 
Insomma, non ci mancano le cose da mettere in comune, da discutere, nè le cose da fare e da capire.
 
A presto