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Antipsichiatria Educazione

La pratica anti-istituzionale

L’UTENTE TI DA’ IL PANE

Educatori contro i tagli, operatori per il welfare, educatori per le equipollenze ecc.

Nessuno parla delle persone, nessuno parla del famigerato “utente”.

L’utente ti da’ il pane.

Mancano i soldi o mancano coscienze?

Attenzione, amore, cura, ascolto, a quanto pare costano molto.

Coercizione, oggettivazione, negazione, potere, invece sono sempre gratis. 

Come si possono rivendicare diritti per sé quando si tacciono per omertà i diritti dell’altro?

La forza del movimento anti-istituzionale non ha mosso le coscienze per un adeguamento dei posti di lavoro ma ispirando un ripensamento profondo dei rapporti umani e quindi della società. 

Di seguito un’illuminante Basaglia.

La Pratica Anti-istituzionale

Intervento pronunciato al convegno del 24-25 maggio 1975, tenutosi a Verona, promosso dalla Lega Obiettori di Coscienza (LOC). Pubblicato nel volume curato dalla LOC, Il servizio civile in Italia, Savelli, Roma, 1976.
Franco Basaglia

Mi pare fuori discussione l’importanza e il significato della scelta fatta dagli obiettori che hanno organizzato il convegno di Verona e hanno scelto per le relazioni introduttive due voci che rappresentano non se stesse ma dei gruppi che lottano nel campo della trasformazione del mondo dell’assistenza e nel mondo del lavoro. Infatti io sono qui come rappresentante di psichiatria democratica, che è un movimento che lotta da anni nel campo dell’assistenza e della sanità per trasformare le istituzioni pubbliche in luoghi di cura e non di custodia e segregazione.

Gli obiettori di coscienza hanno dichiarato di aver trovato in questo primo anno di attività di servizio civile delle difficoltà previste e altre che pongono una problematica estremamente angosciante per quello che riguarda la continuazione del loro lavoro. Emerge il problema molto importante della presenza degli obiettori negli istituti dove prestano servizio civile che si aggiunge a quello costituzionalmente più difficile dell’emarginazione, dello sfruttamento della persona emarginata, lasciata fuori dal gioco del mondo del lavoro. L’attività e la presenza degli obiettori rischiano di porsi in contraddizione con la problematica delle lotte nel mondo del lavoro. Da circa un anno un gruppo di obiettori lavora permanentemente nel settore che io dirigo; ciò ha provocato dei contrasti con i sindacati per il lavoro svolto dagli obiettori. Tali contrasti, piuttosto vivaci sono dovuti al fatto che i sindacalisti giudicano la presenza degli obiettori talora negativamente, li accusano di crumiraggio, di servire cioè il padrone risolvendo le contraddizioni che sono al centro delle lotte che si svolgono per la rivalutazione del mondo del lavoro degli infermieri degli ospedali psichiatrici.

Penso che l’obiettore ha aperto una contraddizione che non è tanto riferita al problema dell’esercito che potremo discutere a parte, ma a un altro problema estremamente difficile dal punto di vista concettuale e dal punto di vista politico, che è quello dell’emarginato, della persona che non appartiene neanche al mondo del lavoro, della persona che è espulsa, che non è considerata, che ha mai avuto la possibilità di accedere al mondo del lavoro.

Gli istituti per handicappati contengono delle persone che hanno una problematica che, almeno dal punto di vista formale, non è presa in considerazione dal mondo del lavoro, delle rivendicazioni sindacali, ecc. Quindi tutto il discorso dell’emarginazione sociale, che non è stato preso abbastanza in considerazione dal pensiero marxiano e dalle scienze politiche, evidenzia la contraddizione dell’assistenza: l’istituto contiene un gruppo di persone (lo spastico, il cieco, il sordo, il frenastenico, ecc.), un mondo cioè che non trova posto in questa società, persone che oscillano nell’organizzazione sociale tra le istituzioni che sono riassunte nell’ideologia della punizione e nell’ideologia della carità. Per concretizzare il discorso possiamo fare l’esempio della famosa suora, la Pagliuca, che aveva risolto il problema dell’emarginazione attraverso l’ideologia della punizione, della segregazione, della morte di questi infelici a lei affidati; dall’altra parte il mondo delle persone che ricevono la carità da buone persone che si dedicano loro per risolvere questa problematica di emarginazione.

Ebbene nel momento in cui delle persone con una coscienza di lotta, come sono gli obiettori, che vengono da una lotta antimilitarista e che stanno acquistando a mano a mano una loro coscienza politica, si trovano di fronte a questa situazione di emarginazione che non è presa in considerazione da alcuno (neppure dalle forze politiche e sindacali) sorgono dei problemi che l’obiettore di coscienza come nuova figura di agente di trasformazione deve affrontare.

L’obiettore si trova in una situazione di volontariato estremamente contraddittoria, al di fuori di quello che può essere il lavoro reale, il mondo della produzione e si trova a dover rispondere praticamente togliendo lavoro a chi lo ha. Il rischio che l’obiettore diventi “un tura buchi” di organizzazione pubblica o privata è estremamente presente e pericoloso. Lascio al sindacalista affrontare questo grosso problema e queste contraddizioni che nascono dalla problematica del mondo del lavoro. Io vorrei fare alcune considerazioni e puntualizzazioni che possono chiarire perchè dalla contestazione dell’esercito l’obiettore sia arrivato alla contestazione dell’organizzazione sociale nella quale viviamo. L’esercito, e questo non lo dico solo io, è l’istituzione base sulla quale si identificano tutte le istituzioni totali della nostra società.

Notiamo, per esempio, che nei paesi in cui la violenza istituzionale è più dura, la trama dell’organizzazione sociale è controllata e gestita dall’esercito, come nei paesi sud americani, dove l’esercito non ha bisogno di avere istituzioni di copertura perchè è esso stesso che esercita direttamente la violenza, reprime e controlla; nei paesi, invece, in cui c’è stata un’evoluzione del capitalismo, è stato necessario creare altre istituzioni che potessero così gestire una società in movimento, tutte comunque a modello di quella che è la struttura dell’esercito.

L’esercito controlla il cittadino con il preteso della difesa della patria, oggi l’esercito difende il sistema sociale e tutte le istituzioni, che sono fatte secondo la logica dell’esercito e hanno le stesse finalità. Analizzando qualunque istituzione assistenziale vediamo che ha la stessa struttura dell’esercito: la struttura del manicomio per esempio è totalmente identica a quella dell’esercito. Quando l’obiettore entra nel manicomio si trova in una situazione totalmente identica a quella della caserma, perché la logica è la stessa. L’obiettore di fatto è nella scala gerarchica al penultimo posto, quello prima dei malati e avrebbe il compito di controllare e violentare, delegato a ciò dagli infermieri, il malato che è a lui sottoposto.

E qui si verifica una situazione interessante, come è successo nel nostro istituto, dove i 6 obiettori lavorano in uno dei reparti più regrediti con persone frenasteniche, deficienti in altre parole, che non sanno badare a se stesse, il cui rapporto con il personale assistenziale è un rapporto unicamente di violenza e l’obiettore funge da cuscinetto tra l’infermiere il malato. Penso, per esempio, che dalla lotta che è evidenziata in quest’anno di lavoro fatto dagli obiettori, sia nata una nuova coscienza a livello di tutti e tre i componenti di questa stratificazione. Abbiamo verificato che il rapporto degli obiettori con gli infermieri, che sono alienati dal lavoro manicomiale è di continuo stimolo per questi ultimi.

E’ opportuno a questo punto aprire una parentesi per spiegare il significato di quest’ultima frase. Gli infermieri rappresentano nel mondo sindacale il gradino più basso di coscienza politica, rispetto agli altri lavoratori. Infatti le rivendicazioni sindacale di questa categoria sono sempre a livello salariale. Ma per questo non si può dire che si tratta di una corporazione piccolo borghese o altro, dobbiamo trovare le ragioni per cui questo succede. La situazione tra l’infermiere e l’operaio della fabbrica è estremamente più positiva per il secondo perché questi comprende molto facilmente cos’è il mondo della alienazione nel quale vive, capisce che il lavoro non è suo e che è alienato e quindi si forma una coscienza politica molto più velocemente di qualsiasi altro lavoratore perchè l’oggetto del suo lavoro è una macchina, è una cosa, e quindi capisce molto più velocemente la mercificazione di cui è oggetto, che non l’infermiere che trova come oggetto del suo lavoro un altro uomo, cioè il problema di ridurre a soggetto l’oggetto che ha di fronte è una cosa estremamente difficile perché impegna una persona e quindi l’infermiere facilmente si adagia nella delega di custode del malato che appunto perché ritenuto pericoloso si deve custodire e diventa così carceriere del malato, vittima-carnefice contemporaneamente della sua situazione.

Nel momento in cui ha di fronte una persona handicappata anziché vivere la situazione con l’handicappato e cioè prendere coscienza di questa determinata situazione, si adagia in una situazione nella quale il malato diventa una merce, una cosa e si aliena. La sua lotta sindacale diventa quindi corporativa, perché la fa per sfuggire all’alienazione, con rivendicazioni solo salariali.

Facendo una scala degli infermieri si nota che quelli che lavorano in una situazione con malati molto regrediti sono i più reazionari, perché l’oggetto di trasformazione, di soggettivazione è molto più complicato che non per l’infermiere che lavora con il malato acuto, per esempio, dove il mondo della riabilitazione può essere molto più veloce. Ebbene, gli obiettori, si trovano di fronte a dei malati molto regrediti, il cui livello di comprensione della realtà e di rapporto con la stessa, è molto più difficile. Pur tuttavia questo gruppo di obiettori ha svolto in questo anno un tipo di lavoro estremamente valido perché ha messo in discussione sia la riabilitazione in se, sia come viene fatta a livello di questi malati, di queste persone regredite, sia perché hanno dato agli infermieri lo stimolo continuo di prendere coscienza di quello che è realmente il loro lavoro.

In questo senso io credo veramente che l’obiettore viene ad essere, come il volontario d’altra parte, un elemento catalizzatore, che al di là del problema di sottrazione di posti di lavoro, si trova ad essere l’elemento che pone in evidenza delle problematiche o delle contraddizioni perché è l’obiettore una contraddizione esso stesso: perché nel momento in cui rifiuta di fare il servizio militare, esprime una contraddizione, e nel momento in cui viene accettata la sua obiezione dallo Stato e che si pone in una situazione pratica non può continuare a fare la lotta antimilitarista, nella nuova realtà in cui si trova a operare creerà delle nuove contraddizioni che a loro volta ne creeranno altre. In Cina non ci sono obiettori perché non c’è n’è bisogno, infatti l’esercito è al servizio del popolo, mentre qui da noi, l’esercito, come la polizia, servono a controllare il popolo.

Al di là della pretesa del ministero della difesa che vuole obiettori testimoni di Geova o comunque con motivazioni morali o filosofiche, l’essenza dell’obiettore politico è ben più pregnante e pericolosa perché fa esplodere delle contraddizioni anche all’interno degli istituti dove va a fare il servizio civile. Noi a Trieste cerchiamo di vedere l’obiettore come una persona che catalizza, che esprime delle contraddizioni all’interno dell’istituzione.

L’obiettore non è un tecnico, non è nulla, è una persona che viene ingaggiata dalle istituzioni e la cui presenza crea costantemente contraddizioni e complica la vita dell’organizzazione. I volontari e gli obiettori per noi complicano costantemente il mondo della nostra organizzazione perché lo mettono costantemente in discussione. Nel momento in cui io per esempio, come direttore di ospedale riesco a creare una situazione di omogeneizzazione e, subito dopo, viene il medico a dire che gli obiettori hanno creato una nuova situazione di conflittualità, io mi ritrovo nella condizione di ricominciare tutto da capo, cercando di mediare contrasti tra i singoli e gli obiettori.

E’ mia impressione non c’è ancora da parte dei dipendenti del nostro ospedale, anche rappresentanti sindacali, la consapevolezza di questo problema ma una lenta presa di coscienza che questa contraddizione esiste.

L’obiettore di coscienza che non sa niente di psichiatria o di altre specialità nelle quali lavora avrà l’opportunità di assumere delle acquisizioni specifiche. Molti degli obiettori finito il loro servizio potranno scegliere di rimanere a lavorare nell’assistenza, in ogni caso diventeranno dei cittadini il cui servizio civile è stato estremamente importante per capire i meccanismi di repressione presenti nella società. E forti di questa esperienza io penso che porteranno avanti la loro esperienza e le acquisizioni fatte nella situazione istituzionale della loro vita.

Vorrei terminare con una frase che ci ha detto un malato schizofrenico e che è la summa di quello che ho tentato di dire in riferimento al problema che stiamo trattando: «Quando entro in osteria – diceva questo malato – e parlo di poesia e della vita, dicono che sono matto, se parlo di lavoro e di denaro dicono che sono un uomo». Questa affermazione che sembra così paradossale e così diversa da quello che ho detto, penso che sia estremamente importante, e che verifichi proprio i due aspetti contraddittori della vita nella quale siamo. Da una parte l’uomo che si libera attraverso la vita con gli altri e dall’altra l’uomo che è costretto dal denaro e dal lavoro a essere quello che non vuole.

Ma è da questa contraddizione costante, da questo confronto costante del mondo del lavoro e della poesia, che noi possiamo trovare la forza di affrontare la problematica della nostra vita.